Intervista all’autore Björn Larsson e alla fondatrice di Iperborea Emilia Lodigiani, in occasione dell’ottavo incontro di librinudi.
Come nasce l’intuizione di fondare una casa editrice dedicata alla letteratura nord-europea? Immaginava un tale successo?
Emilia Lodigiani. L’idea è nata da una progressiva scoperta personale della letteratura nordica, prima attraverso il mondo delle saghe e della mitologia, studiando le fonti di J.R.R.Tolkien per un libro che ho scritto per l’editore Mursia, poi i classici del XX secolo, quando vivevo a Parigi e progettavo un analogo “Invito alla lettura” su Karen Blixen, e infine, da semplice frequentatrice curiosa di librerie, alcuni stupefacenti contemporanei che cominciavano a essere conosciuti in Francia. Al ritorno in Italia, nell’86, ho scoperto che i contemporanei non erano pubblicati e i classici erano spariti dal mercato. Mi è sembrato non solo un miracolo avere una tale riserva di meravigliosi autori a “mia disposizione”, ma addirittura un dovere farli conoscere.
Quanto al successo, assolutamente no, non me l’aspettavo, non era neanche una parola del mio vocabolario interiore. Ero però sicurissima che la qualità alla lunga viene riconosciuta e sapevo di avere tra le mani grandi scrittori europei: dovevo solo rendere loro giustizia con la cura di traduzione e pubblicazione e fare il possibile per “venderli”, visto che si erano fidati di me, che non avevo nessuna esperienza in editoria. Ma devo dire che, se la stima e i riconoscimenti non sono mai mancati, il vero successo è degli ultimi anni, quindi non per miei meriti, ma della nuova generazione di iperborei, una squadra di giovani davvero eccezionali.
Lei è molto amato dal pubblico italiano, un amore ricambiato, come testimonia Diario di bordo di uno scrittore. Qual è secondo lei la ragione di questo successo in Italia e quale invece il motivo di questo amore corrisposto?
Björn Larsson. A dire la verità, non lo so. Bisognerebbe fare la domanda ai miei lettori. Però forse ha a che fare con il fatto che offro nei miei libri, romanzi e saggi, una maniera diversa di guardare e raccontare la vita da quella che si trova di solito nella letteratura italiana. A giudicare dai messaggi che ricevo dai miei lettori, ho l’impressione di raccontare una possibilità di vita che spesso deve rimanere un sogno per gli italiani. Detto questo, non può essere soltanto una questione di contenuto; anche l’estetica letteraria deve avere la sua importanza, però su questo non posso dire niente di sensato.
Come si sceglie, propone e comunica un autore straniero? Ha notato un cambiamento in questi anni nell’accoglienza del pubblico italiano nei confronti di opere straniere?
Emilia Lodigiani. Nei 34 anni di vita di Iperborea, i metodi di scelta sono ovviamente un po’ cambiati, all’inizio era molto facile: i libri dovevano piacere a me, era l’unico criterio. Adesso le scelte sono fatte da Cristina Gerosa, direttrice editoriale, e Pietro Biancardi, editore, ma i criteri sono gli stessi: ci piacciono i contenuti alti e la bella scrittura, quindi molto selettivi e non sempre facili da trovare. Anche per questo il nostro campo di ricerca si è man mano ampliato sia geograficamente, sia introducendo nuove collane. Ed è cambiata la grafica, quindi la presentazione. Nella comunicazione sono diventati fondamentali i social, non solo per effetto Covid, credo che diventeranno sempre più importanti in futuro. Un altro cambiamento positivo è il rapporto più intenso e diretto con i librai, che restano per noi assolutamente vitali.
Quanto alle opere straniere, l’Italia è sempre stata un paese molto aperto da questo punto di vista: si è sempre tradotto molto, anche storicamente, e non solo gli europei, ma adesso ci sono traduzioni davvero da tutto il mondo. Magari molti autori e aree geografiche restano di nicchia: i lettori forti sono molto curiosi, però purtroppo pochi. Riguardo ai nostri paesi, c’è stato un fortissimo boom dei gialli che hanno occupato per anni le top-list dei best-seller, ormai però in calo. Si va sempre un po’ a ondate, no? Che io però non definirei mode: credo che ci siano momenti in cui la letteratura di un certo paese o di un certo genere arriva a esprimere meglio i temi più impellenti e di maggiore interesse del momento.
All’interno della sua produzione si riconoscono tre libri che attingono dalla sua storia o la raccontano. Quest’ultimo in particolare è autobiografico. Che differenza c’è tra scrivere la propria storia e quella di altri? C’è una differenza nel modo in cui ci si immedesima nei personaggi?
Björn Larsson. Le due differenze principali hanno a che fare con la verità da un lato e con la libertà dell’altro. Se io racconto la mia vita o la vita reale di persone che esistono veramente, non ho il diritto di mentire; al contrario, bisogna fare di tutto per raccontare come sono veramente. In questo senso, non ci sono margini di libertà nella narrativa non-finzionale, tranne per che cosa raccontare e che cosa non raccontare o tacere; la difficoltà è scegliere cosa raccontare che potrebbe avere un’importanza per altri oltre a me stesso. Mentre scrivendo un romanzo di finzione e d’immaginazione, la questione della verità non si pone al livello etico, ma a quello della coerenza e del fascino dei personaggi e degli eventi. Nella finzione, la libertà di immaginare è quasi infinta… all’inizio. Una volta che un personaggio comincia a vivere la sua vita, deve rimanere fedele a se stesso, piuttosto che allo scrittore.
Le opere di Larsson si muovono tra generi diversi e affrontano tematiche eterogenee. Esiste secondo lei un fil rougeche attraversa la sua produzione e affascina i lettori? Come cambia la comunicazione di libri tanto diversi (penso ad esempio a La vera storia del pirata Long John Silver, L’occhio del male e gli ultimi due romanzi, La lettera di Gertrud e Nel nome del figlio) e la risposta del pubblico?
Emilia Lodigiani. I fil rouge che vedo sono più di uno. Prima di tutto la capacità di intuire e affrontare temi destinati a diventare di attualità, a volte esattamente quando il libro esce (e non quindi quando lui comincia a scriverlo), penso al caso éclatante dell’attentato di fondamentalisti islamici nell’Occhio del Male, pubblicato appena prima di quello delle torri gemelle, o la rivelazione di Echelon nel Segreto di Inga, ma anche in senso più vasto, come il tema dell’identità nazionale nel Cerchio Celtico o l’identità personale nella Lettera di Gertrud. Un altro è la fiducia nella letteratura come strumento per cambiare se non il mondo, almeno la visione del mondo e della realtà: è una sua costante rilevare che la narrativa può farci capire che la realtà non è ineluttabile e inamovibile, potrebbe anche essere diversa da quella che è, quindi cambiabile. Anche la propria vita, secondo la testimonianza di vari lettori che l’hanno fatto dopo averlo letto! E poi c’è l’indubbia arte di immaginare e di raccontare: oltre ai temi e ai personaggi, le storie sono sempre avvincenti: chi resiste a una storia avvincente raccontata bene?
Lei conosce molto bene la nostra lingua. Partecipa alla traduzione dei suoi libri? Le capita di rileggere il libro tradotto? Secondo lei la traduzione di un libro restituisce esattamente le stesse emozioni, sensazioni, la stessa musicalità, o aggiunge, cambia qualcosa alla percezione del testo? In italiano, ad esempio, la traduzione rimane fedele al testo originale?
Björn Larsson. Per la traduzione in italiano sono fortunato a essere pubblicato da Iperborea, perché fanno un ottimo e rigoroso lavoro sui testi. Finora, quando mi è capitato di rileggere qualche pagina qua e là, ho sempre ritrovato il mio testo originale. Invece, non è possibile dire se la traduzione restituisca “veramente” tutte gli sfumature e le sottigliezze del testo originale; per poter giudicare bisognerebbe essere perfettamente bilingue, cosa che non sono. Però adesso me la cavo sufficientemente bene in italiano per poter rispondere alle domande della traduttrice su punti specifici.